“Anche se la nostra regione non è stata, fortunatamente, colpita dalla terribile siccità che sta mettendo in ginocchio territori, imprese e cittadini di tutto il resto d’Italia, è necessario, con estrema rapidità, ripensare alle priorità del PNRR e sfruttare quindi le risorse europee per ammodernare e realizzare gli invasi e le reti distributive per poter affrontare meglio una eventuale emergenza idrica che, in futuro, potrebbe mettere in seria difficoltà le attività produttive e tutti i sardi”.
E’ questo il pensiero di Maria Amelia Lai, Presidente di Confartigianato Imprese Sardegna, su un eventuale rischio siccità per l’intera regione.
“E’ il momento giusto per continuare a programmare e progettare per non farci trovare impreparati di fronte al perdurare di assenza di precipitazioni – continua la Presidente – senza dover rincorrere l’emergenza e senza dover adottare, se fosse necessario, misure drastiche come sta avvenendo al nord”.
Ed è proprio sulla scarsità d’acqua che potrebbe influenzare l’attività di imprese, lavoratori e sistema produttivo regionale, che l’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Sardegna ha realizzato un dossier sulle attività “idro-esigenti”.
Secondo l’analisi regionale, che ha preso in esame il perimetro delle attività manifatturiere e di quelle dei servizi alla persona, in base all’indicatore Intensità d’uso dell’acqua di ISTAT del 2022, nell’Isola si rilevano 2.164 aziende, di cui 1.534 artigiane, attive nei 10 settori manifatturieri “water intensive” che consumano quasi il 32% delle risorse idriche isolane. I primi 10 con una più elevata intensità di utilizzo dell’acqua sono quello estrattivo con 21,7 litri utilizzati per euro di produzione venduta, seguito dal tessile (20,9 litri per euro), petrolchimica (17,5 litri per euro), farmaceutica (14,1 litri per euro), gomma e materie plastiche (12,4 litri per euro), vetro ceramica, cemento, ecc. (11,2 litri per euro) carta (10,1 litri per euro) e prodotti in metallo (7,4 litri per euro). In queste operano 9.534 addetti, di cui 3.735 artigiani. A queste attività vanno aggiunti i servizi alla persona (lavanderie, acconciatori, estetisti etc) che di fatto consumano per uso imprenditoriale acqua in quantità superiore ad una famiglia. In questo perimetro operano altre 4mila imprese con 8.500 addetti. Quindi il totale delle imprese che lavorano con importanti quantità d’acqua sono 6.164 per oltre 18mila dipendenti.
“Noi piccoli imprenditori siamo fortemente interessati al tema della corretta gestione idrica – continua la Presidente – dato che, per quanto riguarda l’approvvigionamento dell’acqua utilizzata nei processi produttivi, le imprese con meno di cinque addetti utilizzano nella maggior parte dei casi acqua della rete pubblica per uso civile mentre le imprese medie e grandi si servono di specifici sistemi di auto approvvigionamento o utilizzano acqua che proviene da infrastrutture a servizio di nuclei e aree industriali”.
“Per questo insistiamo – conclude Maria Amelia Lai – sulla necessità di investimenti per ridurre la dispersione della risorsa idrica a causa delle cattive condizioni delle infrastrutture. In Sardegna, come è noto, quasi il 50% dell’acqua immessa nella rete (dato Istat 2020) pari a oltre 25 milioni di metri cubi, non arriva nei rubinetti dei sardi”.
L’indagine statistica più aggiornata e precisa sull’utilizzo di risorse idriche in Italia è il volume edito da Istat UTILIZZO E QUALITÀ DELLA RISORSA IDRICA IN ITALIA del 2019. In esso vengono individuati i settori che hanno utilizzato complessivamente una maggiore quantità di acqua per svolgere le attività di produzione. L’indicatore Intensità d’uso dell’acqua (Water Use Intensity Indicator, WUI) fornisce la misura del volume di acqua necessario per generare un’unità di valore della produzione per settore manifatturiero e rappresenta un fattore di pressione ambientale, poiché descrive l’azione impattante di un sistema economico sulle risorse idriche. Calcolato come rapporto fra la quantità d’acqua utilizzata in metri cubi e il valore della produzione venduta nell’anno in euro, l’indicatore rivela che nel nostro Paese, nel 2015, sono stati necessari in media 5,9 litri di acqua per ciascun euro di produzione realizzata.
La spesa pubblica – Le elevate perdite della rete degli acquedotti sono causate del mancato ammodernamento delle infrastrutture idriche. In Italia la spesa pubblica per la gestione dell’acqua – si tratta della spesa per approvvigionamento idrico (06.3 della classificazione internazionale della spesa Cofog) e trattamento delle acque reflue (05.2) – nel 2020 ammonta a 1.549 milioni di euro, pari a 26 euro per abitante, circa un terzo dei 72 euro della spesa media Ue, un livello ampiamente inferiore rispetto ai 59 euro della Spagna, i 70 euro della Germania e i 115 euro della Francia. In dieci anni la spesa pubblica per la gestione dell’acqua in Italia si è ridotta di un terzo (-32,9%), in Francia è stata costante (+0,1%) e in Germania è salita del 30,6%.
Il rilancio degli investimenti con il PNRR – Dall’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono attesi interventi per garantire la gestione sostenibile delle risorse idriche. Il Piano, all’interno della missione ‘rivoluzione verde e transizione ecologica’, mette a disposizione 4.380 milioni di euro , di cui 2.000 milioni per infrastrutture idriche primarie, 900 milioni per ridurre le perdite nelle reti di distribuzione, 880 milioni per investimenti nell’agrosistema e 600 milioni per investimenti in fognatura e depurazione, questi ultimi necessari a fronte delle procedure di infrazioni comunitarie e le sentenze di condanna da parte della Corte di Giustizia europea (la condanna della Corte del luglio 2012 si riferisce ad un inadempimento ad una direttiva di 31 anni fa!).