’L’intelligenza artificiale e l’automazione dei processi possono rappresentare una grande opportunità per le imprese sarde, ma è necessario gestire il cambiamento in modo oculato.
Secondo l’analisi di Confartigianato Imprese Sardegna, per ora, solo il 5% delle piccole imprese italiane utilizza l’intelligenza artificiale per svolgere le proprie attività in modo più efficiente e preciso, quindi per migliorare i prodotti, organizzare le linee produttive, gestire i magazzini e incrementare i servizi offerti mentre il rischio automazione incontrollata, invece, metterebbe in pericolo oltre 71mila posti di lavoro che operano nelle realtà produttrici sarde.
Il due dati emergono dalle ricerche realizzate dall’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Sardegna sui “Pionieri dell’Intelligenza Artificiale nelle piccole imprese” e sul rischio automazione nelle imprese sarde e il relativo “sistema immunitario”. secondo i dati OCSE 2019 e ISTAT 2023.
Ed è per toccare con mano gli effetti che queste due rivoluzioni potrebbero avere sulle imprese che Confartigianato Imprese Sardegna ha deciso di partecipare a Parigi al “Autonomy Paris”, evento mondiale sulla mobilità intelligente, con il VicePresidente Regionale Fabio Mereu.
“Se l’intelligenza artificiale verrà sfruttata correttamente, consentirà alle imprese di produrre prodotti evoluti e con nuove funzionalità grazie a una profonda integrazione tra fisico, come gli addetti, e il digitale, ovvero la macchina – commenta Mereu – quello dell’automazione al posto del lavoro manuale, è un mantra che, giustamente, si sente spesso ripetere visto l’impatto che la tecnologia ha avuto dalla fine del ‘700 a oggi nell’impiego di manodopera umana. Allo stesso modo l’automazione pende come una spada di Damocle sulle sorti delle piccole medie imprese sarde, che però hanno gli anticorpi. In ogni caso, però, sarà necessario supportare le Pmi nella transizione digitale. Si tratta di un processo complesso, elaborato attraverso tecnologie interdipendenti e soprattutto competenze, attitudine mentale e capacità di trasformarsi”. “Sull’interazione sempre più spinta tra uomo e macchina, però è necessario cominciare ad aprire un dibattito che sia approfondito e che guardi a 360 gradi le difficoltà e le opportunità, sia per le imprese che per i dipendenti – prosegue Mereu, – anche perché se il processo non verrà governato correttamente, potrebbe impattare sensibilmente sulle aziende e sugli addetti, causando la cosiddetta “disoccupazione tecnologica”. E urgente, quindi, rafforzare quel “sistema di anticorpi” che sta andando man mano indebolendosi e che, fino a oggi, ha protetto i cluster di imprese dagli effetti negativi creato, per esempio negli ultimi tempi, dalla pandemia, dalle crisi mondiali e dalle guerre”.
A livello nazionale la ricerca dice anche come l’Intelligenza Artificiale venga utilizzata dal 5,6% delle imprese della manifattura, dal 5,3% dei servizi e da 4,9% delle costruzioni. Sul totale delle attività produttive l’utilizzo della IA sale al 15,4% tra le imprese attive nel settore dell’ICT e registra una maggiore diffusione nelle telecomunicazioni (18,1%), nell’informatica (16,9%) e nella produzione di computer e prodotti di elettronica (15,7%). Le piccole imprese che usano l’IA sono l’8,9% in Germania, il 6,1% in Spagna e il 5,0% in Francia contro una media europea del 6,4%.
Secondo recenti dati forniti da Anitec-Assinform, in Italia il mercato dell’Intelligenza artificiale ha raggiunto nel 2022 un volume di circa 422 milioni di euro (+21,9%) e raggiungerà i 700 milioni nel 2025, con un tasso di crescita medio annuo del 22%. L’Intelligenza artificiale, insieme ad altri abilitatori del mercato (Digital Enabler) come ad esempio Cybersecurity, Big Data e Cloud, sarà un elemento di traino straordinario per lo sviluppo del mercato digitale italiano.
Gli ambiti di applicazione dell’intelligenza artificiale nelle piccole imprese in questo momento viene adottata, in particolare, ad esempio, per la manutenzione predittiva o il controllo qualità della produzione (30,4%); a seguire la funzione di marketing o vendite, ad esempio per funzioni di assistenza ai clienti o campagne promozionali personalizzate (24,1%), la sicurezza informatica (21,1%) e l’organizzazione dei processi di amministrazione aziendale, come l’analisi dati a supporto degli investimenti o per effettuare previsioni di vendita, (16,6%); con quote più contenuta l’uso di IA per le funzioni di logistica (10,3%) e la gestione delle risorse umane (5,8%).
Le piccole imprese utilizzano gli “strumenti intelligenti” per l’estrazione di conoscenza e informazione da documenti di testo (38,7% dei casi), per la conversione della lingua parlata in formati leggibili da dispostivi informatici attraverso tecnologie di riconoscimento vocale (32,0%), per identificare oggetti o persone sulla base di immagini (28,5%), e per l’automatizzazione di flussi di lavoro attraverso software robot (28,0%). A seguire, l’uso per generare linguaggio scritto o parlato – generazione del linguaggio naturale – (23,7%), per analizzare dati attraverso l’apprendimento automatico – machine learning, deep learning e reti neurali – (18,5%) e consentire il movimento fisico delle macchine tramite decisioni autonome basate sull’osservazione dell’ambiente circostante – robot o droni autonomi, veicoli a guida – (10,2%).
Secondo l’Associazione di Categoria degli Artigiani, l’IA influirà sulla struttura di offerta di servizi di assistenza ai clienti, servizi immobiliari e di vendita al dettaglio. Inoltre, saranno coinvolti servizi ad alta intensità di conoscenza dove sono controllati ed analizzati grandi quantità di dati: professioni legali e mediche, servizi di consulenza fiscale e finanziaria, servizi pubblici come la sanità e l’istruzione. Gli algoritmi evolveranno, fino a svolgere attività creative, oltre a quelle ripetitive. Aumenteranno i rischi di concentrazione economica, mentre si delinea un intreccio di rilevanti implicazioni geopolitiche conseguenti allo sviluppo dell’IA.
Sul rischio automazione, invece, tra le conseguenze dell’adozione delle tecnologie digitali nelle imprese, c’è proprio l’automazione dei processi produttivi e la ricombinazione dei fattori produttivi che vede la sostituzione di capitale a lavoro. Secondo il dossier, nell’Isola, su un totale di 212.670 addetti che operano nelle attività produttrici, solo il 25,1% (71.118 lavoratori) sarebbe a “rischio automazione”; la percentuale arriva al 35,6% nelle imprese artigiane (22.277 addetti su 62.560). A ciò si contrappone una situazione nella quale il sistema imprenditoriale sardo avrebbe robusti “anticorpi”, ovvero dodici variabili legate ad aspetti dell’innovazione, formazione, creatività e relazione dalle quali dipende il grado di immunità al rischio automazione. Infatti, in base allo studio, che va considerato come puramente previsionale, in Sardegna, l’uomo sarà sempre in grado di vincere sul robot in quelle attività caratterizzate da relazioni interpersonali (turismo, creatività e cultura) e da una elevata diffusione, qualità ed efficacia del sistema formativo e orientamento all’innovazione.
“La rapidità degli sviluppi scientifici e informatici – continua Mereu – sta portando a una trasformazione digitale dei sistemi produttivi, con risvolti positivi in termini di innovazione, ma anche inevitabilmente negativi, come la sostituzione dei lavoratori con macchine e tecnologie in numerose imprese”. “Un cambiamento dal quale la nostra regione non è esclusa – sottolinea invece la Presidente di Confartigianato Imprese Sardgna, Maria Amelia Lai – ma è anche vero, come del resto dimostra lo studio, che il lavoro dell’uomo, la sua esperienza e le sue capacità, anche manuali, si rendono indispensabili in molti ambiti e filiere produttive, di cui la nostra regione è ricca e rappresenta un’eccellenza: affiancate da un alto livello di formazione, sono filiere che proprio senza l’apporto umano perderebbero la loro unicità”.
Per Confartigianato Sardegna, l’intelligenza artificiale è una importante possibilità per la crescita delle PMI e non solo per le grandi aziende. La percezione diffusa è che questa nuova tecnologia appartenga al futuro di molte realtà ma, questo il dato di fatto, e quindi il fattore frenante, mancano le professionalità altamente specializzate ovvero scarseggiano competenze e risorse. Come accadde agli inizi degli anni 90, all’affacciarsi di Internet, le aziende che non faranno investiranno da subito nell’IA, da qui a pochi anni rischieranno di uscire o sparire dal mercato. Alcuni settori devono, e dovranno, affrontare livelli di competitività talmente elevati che l’eliminazione di inefficienze avrà tanto valore per loro quanto il raggiungimento di maggiori capacità in tutti gli ambiti relativi alle proprie criticità operative (produzione, lettura del mercato, prontezza di reazione/risposta alle sollecitazioni sia interne che esterne, ecc.). Tutto questo perché la velocità del cambiamento nei processi, nella società, nelle relazioni, nell’economia e nelle tecnologie ha raggiunto livelli che sono al di là delle migliori capacità umane.
“Una sfida, quella tra automazione e artigianalità – concludono Lai e Mereu – che le imprese sarde potranno affrontare solo investendo sulla formazione specifica, accrescendo le competenze richieste dal mercato (soprattutto per quanto riguarda i servizi alla persona), ma anche le competenze informatiche da abbinare a qualsiasi competenza”.